La teoria della ghianda

Lo scrittore, filosofo e psicologo James Hillman nel suo bestseller “Il codice dell’anima” affronta uno dei temi più importanti della filosofia, cerca di rispondere alla domanda: perchè esisto? 

Negli anni in cui Hillmann scriveva il suo capolavoro sopra citato, era diffusa nel mondo della psicologia la convinzione che ogni essere umano fosse il risultato dell’istruzione ricevuta dai genitori e dalla società. Una visione Freudiana che metteva la responsabilità di ciò che siamo nelle mani di altri, con l’avvento del grande psicologo C.G. Jung si ritorna a dare voce a vecchie teorie che invece mettono al centro il singolo come responsabile delle sue azioni. 

Essendo Hillman figlio della scuola Junghiana pesca il concetto della teoria della ghianda da un vecchio mito dell’antica grecia arrivato a noi tramite platone: il mito di Er. 

<<Il mito narra di Er, figlio di Armenio, un soldato valoroso originario della Panfilia, morto in battaglia che, mentre stava per essere arso sul rogo funebre, si ridestò dal sonno mortale e raccontò quello che aveva visto nell’aldilà. >>

<<Er raccontava poi come le anime sceglievano, oltre che in base alla fortuna del sorteggio, secondo le abitudini contratte nella vita precedente. Un’anima che era venuta dall’alto dei cieli e che era stata virtuosa solo per abitudine e che aveva vissuto in una città ben governata, per desiderio di novità aveva scelto frettolosamente la vita di un tiranno per accorgersi poi, rimproverando la sua cattiva sorte, come questa fosse carica di dolori. Le anime provenienti dal basso invece avevano imparato dalle loro esperienze terrene e avevano scelto con maggiore giudizio. Ad esempio, Agamennone, per ostilità verso il genere umano dovuta alle sofferenze patite aveva scelto di vivere come un’aquila; Orfeo, che non voleva nascere da grembo di donna per l’odio che nutriva verso il sesso femminile che aveva cagionato la sua morte, aveva preferito la vita di un cigno; Odisseo, stanco di rischiose avventure, aveva preferito la vita di un qualsiasi uomo tranquillo.

Dopo aver compiuto la scelta, ogni anima riceveva da Lachesi il daimon, il genio tutelare, che avrebbe sorvegliato che si compisse la vita prescelta; quindi l’anima doveva andare da Cloto, a confermare il suo destino, e infine da Atropo che lo rendeva immutabile. Le anime poi s’incamminavano attraverso la deserta e calda pianura del Lete e, fermatesi per riposare sulle sponde del fiume Amelete, tutte, tranne Er, furono obbligate a bere l’acqua che dà l’oblio, e chi non era saggio ne beveva smodatamente. Giunta la notte, le anime stavano dormendo quando a mezzanotte un terremoto le gettò nella nuova vita assieme a Er, che, svegliatosi sulla pira funebre, poté raccontare come, conservando la memoria dell’esperienza passata, si può vivere serenamente una vita giusta e saggia in questo e nell’altro mondo.>>

Partendo da questo antico testo, Hillman investiga nel presente cercando di dare prove scientifiche a questo mito. 

Nel suo libro parla di diverse storie di personaggi importanti che sin da piccoli mostravano atteggiamenti strani e particolari che possono far intuire da subito che per loro era ben chiara fin da piccoli la loro vocazione. 

Hillman sostiene che dentro di noi c’è una piccola ghianda che contiene le istruzioni che ci rendono unici e irripetibili, il nostro compito è trasformare quella ghianda in una quercia.  

Ma non tutte le ghiande diventano una quercia, e proprio qui sta il nostro compito, nel riuscire a notare in noi stessi la nostra vocazione che si nasconde dietro ogni nostro gesto. 

In aiuto dalla nostra parte abbiamo quello che Hillman definisce il nostro personale Daimon, costui ha il compito di manifestarsi e mostrarci la nostra vera natura. 

Se avesse ragione lui, non siamo gusci vuoti nati senza un motivo che sono semplicemente il risultato della famiglia e della società, ma siamo degli esseri unici nati con uno scopo preciso, il nostro compito è scoprire quello scopo attraverso gli indizi che il nostro Daimon ci lascia ogni giorno. 

Come ho detto all’inizio non siamo tutti nati per essere venditori, ma se senti che questa è la tua strada per un motivo o per un altro, non importa quale sia il motivo, percorri la strada fino in fondo .. senza mai voltarti indietro. 

Ci tengo a ricordarti che anche io che voglio fare l’inventore e sento che è quella la mia vocazione per ora sono un venditore, imparare a vendere non ti definisce come individuo ma rappresenta semplicemente una capacità in più che possiedi.
Imparare a vendere non serve solo a fare i soldi, ti trasforma in una persona capace di comunicare in maniera corretta e ascoltare in maniera attiva. Sarai in grado di ottenere ciò che vuoi e persuadere le persone in ogni campo della vita, non solo quello lavorativo. 

Quindi non devi chiederti se nella tua ghianda c’è scritto che sarai il più grande venditore di tutti i tempi, ma se imparare a vendere fa parte delle radici che faranno fiorire la quercia che c’è in te.